giovedì 24 novembre 2016

Storia della Magia 08 - La cartomanzia



LE ORIGINI ITALIANE

I Tarocchi dei Visconti (ante 1447).

Nonostante gli occultisti tendano ad ascrivere la creazione dei tarocchi ai popoli antichi (in particolare agli Egizi), non abbiamo testimonianze, in Europa, di carte da gioco prima dell’epoca tardomedievale; le prime attestazioni sono alcuni frammenti di carte arabe (denari, bastoni, spade e un quarto seme sconosciuto), usate per il gioco d’azzardo. Furono comunque proprio gli Arabi a inventare questo tipo di oggetto, presto imitati dagli Europei (in particolare Spagnoli e Italiani) nel XIV secolo; si diffusero poi almeno tre tipi di mazzi, quello coi semi italiani (denari, coppe, spade e bastoni), quello coi semi tedeschi (foglie, ghiande, campanelli e cuori) e quello coi semi francesi (quadri, cuori, picche e fiori), che diventò poi il più diffuso. Un quarto modello, differente dal cosiddetto ludus cartharum, era il mazzo dei trionfi (ludus triomphorum), composto dalle canoniche 56 carte a semi italiani affiancate da 22 figure di valore allegorico, dette appunto trionfi e in seguito tarocchi. I primi manuali di gioco, invece, videro la luce tra XVI e XVII secolo, ma non abbiamo delle vere testimonianze sull’utilizzo di queste carte a scopo divinatorio: l’unica di un certo interesse è quella del mantovano Teofilo Folengo (1491-1544), che nel Chaos del Triperuno menziona l’estrazione delle carte per prevedere il futuro delle persone.
La creazione dei tarocchi ha parimenti una collocazione e una datazione precisa: il primo mazzo fu realizzato a Milano, tra il 1442 e il 1447, probabilmente su commissione del duca Filippo Maria Visconti; si trattava di un gruppo di più di 60 carte dipinte a mano e ricoperte da una lamina d’oro finemente lavorata a bulino. Esse traevano ispirazione da un precedente mazzo commemorativo, nel quale erano stati rappresentati gli dèi greci, e si trattava forse del tentativo di creare un nuovo gioco: il primitivo mazzo visconteo, infatti, presenta alcune importanti anomalie rispetto agli altri mazzi dell’epoca, primo fra tutti la sostituzione dei bastoni con le lance, e in secondo luogo i sei onori (le figure di corte dei semi), ovvero re, regina, cavaliere, cavallerizza, fante e fantesca. Dei tre mazzi pervenutici, il più antico presenta anche alcuni trionfi che vennero poi abbandonati (la Fede, la Speranza, la Carità e forse la Prudenza), e in nessuno si sono conservati il Diavolo e la Torre.
Secondo alcuni studiosi il più antico mazzo di tarocchi (non pervenutoci, e sempre di ispirazione milanese) fu invece realizzato intorno al 1420 a Ferrara; come che sia, è certo che dall’ascesa del duca Borso D’Este, nel 1450, vennero creati nuovi mazzi molto pregiati: i più celebri sono quelli conosciuti oggi come tarocchi di Carlo VI (nel quale compare per la prima volta la numerazione), di Ercole I D’Este, di Castel Ursino, di Varsavia e di Rothschild; lo stesso termine “tarocchi” dovrebbe derivare dal ferrarese tarocar, arrabbiarsi (in riferimento al gioco d’azzardo). Altro pregevole esempio di mazzo rinascimentale è quello degli Antichi Condottieri (meglio noto come Sola Busca), realizzato tra il 1491 e il 1523, creato a scopo educativo con figure tratte dalla mitologia classica e biblica, e con alcune simbologie alchemiche. Il gioco dei trionfi fu, in definitiva, il prodotto di una cultura aristocratica tipica delle corti padane: esso nacque dalla mescolanza delle 56 carte comuni con un insieme di figure educative, vale a dire allegorie a sfondo etico e morale, raccolte da opere enciclopediche, letterarie e religiose risalenti al secolo precedente.

LO SVILUPPO FRANCESE

I Tarocchi del Libro di Thoth di Etteilla (1865).

Mentre anche nel resto d’Italia iniziavano a svilupparsi nuovi mazzi (come il tarocco piemontese, il tarocchino bolognese, le minchiate fiorentine e via dicendo), a partire dal 1494, in seguito all’invasione francese del Ducato di Milano, i tarocchi iniziarono a diffondersi anche in Europa: in particolare molti artisti francesi si ispirarono alle carte milanesi per elaborare il mazzo più classico, quello definito “marsigliese”. La sua creazione (con le sue innovazioni rispetto a quello italiano), datata attorno al 1650 a Parigi, si deve a Jean Noblet; il nome dipende invece dal fatto che, nel 1930, venne fatta la ristampa di una vecchia edizione di Marsiglia del 1760, col quale poi divennero famosi. Contemporaneamente vennero creati anche mazzi svizzeri, tedeschi e austriaci, che però non riscossero il medesimo successo di quelli italiani e francesi.
L’inventore della cartomanzia vera e propria, nel senso moderno del termine, fu Etteilla (1724-1792, nato Jean-Baptiste Alliette), che grazie ai suoi manuali ne divulgò la pratica in tutta la Francia, nella seconda metà del XVIII secolo; negli ultimi anni essa cominciò a diffondersi in tutta Europa, e col tempo assunse regole e sistemi ben definiti, per quanto essa si riferisse più che altro ai comuni mazzi di carte, e non ai tarocchi. La divinazione applicata a questi ultimi si deve invece al massone Antoine Court de Gebelin (1725-1784) che, in una sua pubblicazione (e con lo scopo sia di nobilitare la nuova arte, sia di fare scalpore), asserì che i tarocchi derivavano da un tipo di divinazione egizia, e che si tratterebbe in realtà delle pagine del mitico Libro di Thoth, un’opera contenente tutti i segreti del mondo; nella pratica, però, egli non fece altro che copiare i significati dati da Etteilla ai vari trionfi. Questi, per tutta risposta, creò un nuovo mazzo, chiamandolo proprio Libro di Thoth, con un nuovo ordine delle carte e assegnandogli sempre un’origine egizia; fondò poi, nel 1788, la Società Letteraria per l’Interpretazione del Libro di Thoth, che si sviluppò velocemente e contribuì a diffondere la cartomanzia presso tutti i ceti sociali. Nel corso degli anni il mazzo venne modificato dai suoi discepoli: in alcune versioni i semi italiani vennero sostituiti da quelli francesi (il Nuovo Etteilla), in altre il numero di carte venne ridotto a 42 (il Piccolo Oracolo delle Dame) o a 36.
Un ulteriore impulso alla diffusione della cartomanzia venne poi dato da Marie Adélaide Lenormand (1768-1843), una ciarlatana molto vicina all’imperatrice Josephine, che venne definita “la Sibilla dei Salotti” o “la Sibilla di Alençon”; la sua fama venne infatti sfruttata dalle sue discepole, che scrissero molti manuali di divinazione, e dai fabbricanti di carte: già nel 1828, a Parigi, vide la luce un mazzo chiamato appunto Sibilla dei Salotti, ispirato alle 52 “carte da conversazione” (un mazzo inglese settecentesco composto da figure simboliche), ma anche il Libro del Destino (con 32 carte) e il Piccolo Lenormand (da 36, e nel quale le figure vengono sostituite da un simbolo che le rappresenta). Il più celebre resta comunque il Grande Gioco di Società di Mademoiselle Lenormand del 1860, che mostra per la prima volta una simbologia di tipo magico-alchemico: ogni carta è infatti divisa in sette vignette, dove le tre superiori contengono una carta da gioco francese, una costellazione e un simbolo geomantico o una lettera dell’alfabeto, quella centrale mostra una scena mitologica o un’operazione alchemica, e le tre inferiori scene di vita quotidiana ai lati e fiori al centro.

L’OPERA DEGLI OCCULTISTI

I Tarocchi di Crowley (1942).

Come accennato, Eliphas Lévi fu un grande appassionato di tarocchi, e ne scrisse un nuovo “mito delle origini”: essi sarebbero ebraici, poiché dopo la distruzione del Tempio di Gerusalemme qualche cabalista avrebbe tracciato sull’avorio i misteri dell’ephod e dei teraphim (le immagini di Yahweh), giunti fino all’epoca attuale in forma di carte. Fu sempre lui ad ascrivere a ognuna delle 22 “chiavi maggiori” una lettera dell’alfabeto ebraico, secondo il suo significato cabalistico, e il primo a indicare, seppur a grandi linee, un metodo divinatorio originale; questo fu spiegato più tardi, e meglio, da Wirth, ed è oggi conosciuto come “metodo della croce” o “delle cinque carte”. Altra figura di spicco in quest’ambito fu quella di Jean-Baptiste Pitois (1811-1877), che legò i tarocchi anche a significati astrologici (ribattezzandoli “lame ermetiche”) e, nel suo libro Storia della Magia e del Mondo Soprannaturale (firmata con lo pseudonimo di Paul Christian), descrisse una fantasiosa iniziazione nei sotterranei della piramide di Menfi, dove veniva esplicata tutta la simbologia dei tarocchi, dipinti sulle pareti della cripta; fu lui a definire per la prima volta i trionfi come “arcani”, termine che poi entrò nell’uso comune. Come che sia, a scatenare la fantasia degli occultisti nel periodo successivo fu un’affermazione fatta dallo stesso Lévi, per la quale “resta un’importante opera da compiersi: si è da fare stampare e pubblicare un tarocco rigorosamente completo e perfettamente eseguito”.
Gli ambienti rosacrociani presero in parola il mago: fu il massone svizzero Oswald Wirth (1860-1943) a creare il primo mazzo “occultista” dopo quello ideato da Etteilla, pubblicandolo a Parigi nel 1889; quest’opera gode ancora oggi di un successo straordinario per l’accurata descrizione del rapporto degli arcani maggiori con la mitologia egizia e greca, e con le più diverse branche dell’esoterismo (astrologia, cabala e alchimia). Parimenti, anche il francese Papus (1865-1916, nato Gérard Encausse), sempre legato al rosacrocianesimo, unì gli arcani maggiori descritti da Pitois con i minori di Etteilla, e riprese anche i metodi divinatori settecenteschi. Infine, dopo lo scioglimento della Golden Dawn (entro la quale accadeva che ogni adepto realizzasse un proprio mazzo), l’americano Arthur Edward Waite (1857-1942) progettò il primo mazzo completamente illustrato con scene allegoriche anziché con figure simboliche; realizzato in stile art nouveau tra il 1909 e il 1910 da Pamela Colman Smith e pubblicato dalla Rider & Co. (da cui il nome di Tarocchi Rider-Waite), è assieme ai marsigliesi uno dei più usati al mondo, soprattutto in America.
Totalmente diverso, sia per stile che per contenuto, risulta invece essere il mazzo di Crowley, il cosiddetto “Tarocco del Libro di Thoth”, realizzato tra il 1938 e il 1942 da Frieda Harris, in stile surrealista; quest’opera è un vero e proprio inno al paganesimo di ogni epoca e luogo o, come ebbe a dire l’autore stesso, “una rappresentazione pittorica delle forze naturali così com’erano concepite dagli antichi secondo il simbolismo convenzionale”. Il mazzo in questione, ancora oggi molto in voga tra gli occultisti, fu il primo di tutta una serie di nuovi mazzi che avevano la tendenza a slegarsi sempre di più dalla tradizione esoterica moderna, per approdare a simbologie diverse, ispirandosi a civiltà antiche, alla natura, agli animali e alla letteratura fantasy (ovviamente con significati diversi a seconda delle rappresentazioni). In seguito alla diffusione del movimento New Age, delle teorie psicanalitiche e delle tecniche di meditazione orientali, è stato alimentato un uso dei tarocchi come simbologia per la realizzazione di sé stessi più che alla mera predizione del futuro.

GLI ARCANI MINORI E MAGGIORI

Il Bagatto (Visconti - Sola Busca - Marsigliesi - Etteilla - Wirth - Waite - Crowley).

Già in alcuni grimori tardomedievali troviamo rappresentazione dei semi delle carte come strumenti rituali, per quanto non si abbia idea in che modo le due cose siano connesse; sicuramente trovarono una certa unione in epoca posteriore, quando i principali oggetti della magia cerimoniale andarono a coincidere con gli arcani minori. I bastoni sono legati al fuoco e alla classe sociale del popolo minuto, e rappresentano la creatività e la volontà; i denari sarebbero la terra e i mercanti, nonché il corpo fisico e i possedimenti materiali; le coppe l’acqua e il clero, nonché i sentimenti; e infine le spade l’aria e la nobiltà, nonché la ragione. Esistono in effetti alcuni mazzi (soprattutto italiani ispirati alle Sibille francesi) composti dai soli arcani minori, per quanto sia pensiero comune che la divinazione coi minori sia più difficile di quella coi maggiori, e che quella con entrambi sia la più ardua in assoluto.
L’ordine e il nome degli arcani maggiori varia invece a seconda della tradizione; in generale la numerazione canonica tende a essere quella marsigliese, ma già Etteilla ne aveva composta una sua, cambiando anche i nomi e le raffigurazioni (ad esempio Gli Uccelli e i Pesci al posto dell’Imperatore, che non era più al numero IV ma al VII). Essi sono dunque, nell’ordine, il Bagatto (o il Mago), la Papessa, l’Imperatrice, l’Imperatore, il Papa, l’Innamorato (o gli Amanti), il Carro, la Giustizia, l’Eremita (o il Tempo), la Ruota della Fortuna, la Forza, l’Appeso (o l’Impiccato), la Morte (anche detta l’Arcano Senza Nome), la Temperanza, il Diavolo, la Torre (o il Fulmine), le Stelle, la Luna, il Sole, il Giudizio (o l’Angelo), il Mondo e il Matto (che è senza numero, e dunque conta sia come arcano 0 che come arcano 22). È da notare che, nei tarocchi Rider-Waite, le posizioni della Giustizia e della Forza sono invertite. Ognuno di essi ha, a differenza degli arcani minori, un significato più variabile e complesso, a seconda della situazione e degli arcani assieme ai quali viene estratto.

giovedì 17 novembre 2016

Storia della Magia 07 - La magia nell'Ottocento



LO SPIRITISMO

Le sorelle Fox: Margaret, Kate e Leah.

A metà strada tra religione, scienza e magia, lo spiritismo (in inglese spiritualism) si basa su due credenze principali: la prima è che l’anima sopravvive alla morte, e la seconda è che i vivi possono comunicare coi defunti. Questa corrente trae origine, più che dalle credenze antiche, da due autori principali: il primo, il visionario svedese Emanuel Swedenborg (1688-1772), scrisse alcuni testi dopo aver ricevuto una serie di rivelazioni divine, e in alcuni di essi affermò che esistono solo due piani di esistenza, cioè il mondo spirituale (reale) e quello materiale (illusorio); sosteneva che, dopo la morte, le anime permanevano ancora per lungo tempo sulla terra, e anche quando accedevano al Paradiso o all’Inferno continuavano le attività fisiche (lavorare, giocare, sposarsi, combattere, commettere crimini, sostenere governi). Parimenti, anche gli scritti di Franz Mesmer (1733-1815) influenzarono molto lo spiritismo: alla base della sua teoria vi era l’ipotesi che un fluido magnetico (detto a volte “sesto senso”) circondasse e collegasse ogni persona, la terra e le stelle, il cui squilibrio provoca le malattie; il mesmerismo prevedeva l’utilizzo dell’ipnosi per effettuare le guarigioni e, dato che diversi pazienti sostennero di aver comunicato coi defunti durante il trattamento, gli spiritisti adottarono il metodo per indurre la trance. Sebbene le dottrine di Swedenborg e Mesmer fossero (a detta dei loro stessi creatori) inconciliabili, vennero unite per ottenere da un lato la cosmologia e dall’altra il metodo parascientifico dello spiritismo: di fatto questa nuova dottrina non insegnava a credere nell’aldilà, ma ne dimostrava l’esistenza.
I medium, gli estatici dello spiritismo, agiscono da intermediari coi defunti affinché essi possano comunicare coi vivi in circostanze controllate; essi nascono con il dono, sebbene a volte lo ricevano a seguito di un evento traumatico. I medium operano in genere in una stanza poco illuminata, aiutati da un gruppo di persone che si tengono per mano, e incanalano in trance l’anima che si manifesta per parlare tramite la sua voce. A volte le manifestazioni spiritiche sono anche fisiche: telecinesi (lo spostamento degli oggetti, e a volte persino del medium stesso, tramite levitazione), effetti termodinamici (suono di strumenti musicali) e materializzazioni spiritiche (attraverso la manifestazione fisica di un fantasma, o la fotografia degli spiriti, più raramente l’apparizione di oggetti come fiori, libri e gioielli). Quando un defunto si manifesta, lo fa attraverso una sostanza gelatinosa o simile al vapore (il cosiddetto ectoplasma, cioè “sostanza esteriorizzata”), che fuoriesce dagli orifizi del medium e prende forma umana o di parti del corpo umano (un fenomeno osservato già prima della nascita dello spiritismo). Parimenti, le manifestazioni per così dire “mentali”, ovvero le parole dei defunti (manifestate durante trance con la chiaroveggenza, la chiaroaudienza, la telepatia, e la scrittura e la parola automatiche, dette channeling), fornirebbero la prova dell’esistenza della vita oltre la morte: secondo gli spiritisti, infatti, quando una persona muore la sua anima resta nel “piano terrestre”, per poi innalzarsi a stadi superiori sempre più spirituali tramite i progressi di conoscenza e di insegnamenti morali; va da sé che, a causa di questa concezione, molti seguaci di questa corrente si staccarono da una visione dell’aldilà di stampo cristiano.
Lo spiritismo venne fondato nel 1848 da Kate (1836-1892) e Margaret Fox (1834-1893) quando, nella loro casa ad Heydesville, nello Stato di New York, dopo che la loro famiglia aveva continuato sin dall’anno prima ad assistere a manifestazioni spiritiche (nella forma di colpi), cercarono di entrare in contatto con il defunto in questione tramite una seduta, facendosi poi promotrici della tecnica medianica, ed esportando lo spiritismo anche in Europa. Il padre e codificatore dello spiritismo fu però il pedagogista francese Allan Karedec (1804-1869, nato Hyppolite Rivail), e tra i più celebri medium vanno ricordati lo scozzese Daniel Home (1833-1886) e l’italiana Eusapia Palladino (1854-1918); tra i seguaci della dottrina merita una menzione lo scrittore Arthur Conan Doyle (1859-1930), e fra coloro che lo avversarono va ricordato il prestigiatore Harry Houdini (1874-1926). Lo spiritismo ebbe il suo culmine alla fine del XIX secolo, e un importante revival dopo la Prima Guerra Mondiale, per poi essere per lo più abbandonato.
Una menzione particolare merita la famosa tavola ouija, (dall’unione della parola “sì” in francese e tedesco), un indicatore di forma triangolare che viene posto sopra una “tavola parlante” sulla quale è stampato l’alfabeto, i numeri da 0 a 9, e le parole “sì” e “no”. Brevettata da Elyah Bond (1847-1921) nel 1890, prevede che il medium, guidato dall’anima del defunto, faccia passare l’indicatore su lettere e numeri, in modo da creare frasi di senso compiuto.

LA TEOSOFIA

Helena Petrovna Blavatsky, fondatrice della Società Teosofica.

Sebbene il termine teosofia (dal greco theos, dio, e sofia, sapienza, ovvero “sapienza divina”) sia stato impiegato varie volte nel corso dei secoli (soprattutto negli ambienti neoplatonici dell’Antichità e del Rinascimento), esso divenne famoso a partire dal 1875 con la fondazione della Società Teosofica, a opera di Helena Blavatsky (1831-1891) ed Henry Olcott (1832-1907). Tale organizzazione si basava su tre princìpi fondamentali: formare un nucleo di fratellanza universale senza distinzione di razza, credo e sesso; incoraggiare lo studio comparativo delle religioni, delle filosofie e delle scienze; esplorare le leggi inspiegabili della natura e del potenziale umano. Nel corso dei decenni, soprattutto dopo la morte di Madame Blavastky nel 1891, essa si scisse in varie correnti indipendenti, la più famosa delle quali è la Società Antroposofica di Rudolf Steiner, fondata nel 1912 e ancora in piena attività, sebbene nessuna di esse sia dotata dell’autorità di “interpretare la teosofia” secondo i dettami della fondatrice.
La teosofia non sarebbe altro che la conoscenza del “mondo sconosciuto” (non limitato a quello dello spiritismo e del positivismo razionalista) e la conseguente capacità umana di controllarne le forze al di là della realtà naturale conosciuta; essa non era dunque solo teoria, ma pratica, e ben presto il termine arrivò a diventare sinonimo di magia, occultismo, teurgia e cabala; la Blavatsky arrivò perfino a dire che la teosofia era “la grande religione universale […] trasmessa di padre in figlio fra il popolo che viveva nella culla dell’umanità, l’Oriente”. Essa permetteva dunque all’uomo di controllare la realtà tramite il principio vitale che tutto unisce, e in vista di ciò si ritenne che ogni dottrina magica fosse valida in quanto divinamente ispirata: questo portò all’accostamento e all’unione pratica di forme di magia (e di tradizioni) molto diverse fra loro, unendo così elementi della religione egizia allo yoga indiano, o credenze celtiche alla teurgia greca; un posto rilevante ebbe comunque la cabala, in quanto la Società Teosofica non si distaccò mai completamente dalla credenza per la quale ebraismo e cristianesimo fossero le rivelazioni divine più pure (pur abbracciando dichiaratamente la dottrina della reincarnazione).

LA MAGIA CERIMONIALE

Aleister Crowley col suo altare durante un rito magico.

Sviluppatasi nel corso dei secoli, e venuta a contatto con altre dottrine esoteriche e filosofiche (soprattutto dopo la riscoperta di tradizioni egizie e orientali, ma anche tramite la magia enochiana di epoca elisabettiana), la negromanzia ebbe il suo apice a cavallo tra XIX e XX secolo nella nuova forma di magia cerimoniale. Essa trae il suo nome dai lunghi e complessi rituali (molto più elaborati di quelli medievali), comprendenti tutta una serie di accessori, rappresentanti gli elementi metafisici e la psicologia del mago stesso. Crowley esplica questa simbologia: il cerchio disegnato a terra coi nomi divini, l’altare, la bacchetta (la vera volontà), il calice (la comprensione), la spada (la ragione) e il pentacolo (il sentimento); sull’altare devono esserci anche una fiala d’olio (l’aspirazione, per consacrare gli oggetti al proprio intento), mentre il mago deve essere circondato da una frusta, un pugnale e una catena, destinati a mantenere puro il suo scopo; sono inoltre necessari una lampada a olio, un libro di scongiuri (il cosiddetto grimorio) e una campana, così come una corona (la divinità del mago), una veste rituale (il silenzio) e un lamen (il lavoro magico, nella forma di un sigillo, spesso portato al collo).
La figura più emblematica di mago ottocentesco è certamente quella di Eliphas Lévi (1810-1875, nato Alphonse-Louis Constant): legato per tutta la vita, seppur non senza contrasti, ad ambienti cristiani e socialisti, intrattenne rapporti con gli esponenti delle più diverse branche dell’esoterismo; nel 1853 ricevette un’iniziazione cabalistica, e assunse il nome magico col quale divenne famoso. Nel 1856 scrisse il Dogma e Rituale dell’Alta Magia, seguito poi da altri scritti di argomento esoterico, nei quali palesava la sua passione per i tarocchi e la cabala (considerata la chiave d’interpretazione di ogni mistero), senza però mai distaccarsi da un approccio di stampo cristiano; pur credendo nell’avvento di una nuova era, rinnegò le dottrine di Swedenborg, di cui era stato lettore, e criticò ampiamente Mesmer: non sarebbe la pratica della magnetizzazione a provocare le guarigioni, ma un accidentale influenza che ciò ha sul “grande agente magico”, la luce che crea il “corpo astrale” dell’uomo, fattore che spiega ogni manifestazione soprannaturale e che può essere manipolato grazie alla pratica magica. Lévi divenne in breve la figura archetipica del mago moderno, mistico non superstizioso, un po’ scienziato e un po’ politico.
In quest’epoca di grande fermento intellettuale ed esoterico vennero a svilupparsi diversi ordini magici segreti in tutta Europa, spesso di derivazione massonica o rosicruciana, primo fra tutti l’Ordine Ermetico dell’Alba Dorata (in inglese Hermetic Order of the Golden Dawn, abbreviato spesso in Golden Dawn). Fondato nel 1888, era diviso in tre gradi iniziatici: il primo si incentrava sullo studio della cabala, dell’astrologia, dei tarocchi, della geomanzia e della magia elementale, il secondo (il Rosae Rubeae et Aureae Crucis) della cristalloscopia, del viaggio astrale e dell’alchimia, e il terzo (i Capi Segreti) era costituito da entità spirituali che dirigevano i gradi sottostanti, rivelate ai fondatori dell’ordine (come il resto della struttura) nel Manoscritto Cipher, risalente forse agli ambienti rosicruciani d’inizio XIX secolo. Altra importante organizzazione fu l’Ordine del Tempio d’Oriente (in latino Ordo Templis Orientis, abbreviato in O.T.O.), fondato nel 1895 dall’austriaco Karl Kellner (1850-1905), esperto di yoga e tantrismo, che sviluppò una serie di rituali di magia sessuale. La magia cerimoniale restò comunque ancorata alle tecniche e alla filosofia del passato, non ultimo lo stampo cristiano della pratica, come nel caso del martinismo fondato da Papus (che vedremo più oltre): le entità con le quali si aveva a che fare durante i rituali non erano considerate del tutto “esterne”, ma almeno in parte “interne” al mago, in quanto figure archetipiche, una sorta di abito che il mago doveva vestire per operare gli incantesimi; in questo modo era possibile il raggiungimento di un equilibrio tra sé e il cosmo senza distaccarsi dalla religiosità tradizionale, almeno fino al rinnovamento operato in seno all’O.T.O. stesso. 
L’inglese Aleister Crowley (1875-1947, nato Edward Alexander Crowley), membro sia della Golden Dawn che dell’O.T.O., fu il primo a distaccare il suo operato di mago dal cristianesimo, soprattutto dopo il suo viaggio in Egitto, quando ricevette una rivelazione da parte di uno spirito di nome Aiwass (il dio Horus), che mise per iscritto nel 1904 col titolo di Liber AL, o Libro della Legge, di cui alcuni passi risultarono oscuri persino a lui stesso, ma che annunciava in generale l’inizio di una nuova epoca, il cosiddetto “Equinozio degli Dèi”. Il principio più importante della mistica crowleyana è il “fare quel che vuoi sarà tutta la tua legge”, col significato di abbracciare e seguire la propria Vera Volontà, che inizialmente nessun uomo conosce, e che va scoperta tramite l’esercizio psicofisico, non ultimo quello magico: una volta compresa, l’uomo deve seguirla accettando tutte le difficoltà e i sacrifici che essa comporta. Il limite a tutto ciò è la Volontà altrui: è necessario amare gli altri e non chiudersi in sé stessi, poiché “Amore è la legge, Amore sotto il dominio della Volontà”, in quanto tutte le Volontà umane si armonizzano fra loro grazie all’Amore, alla maniera del moto delle stelle. Crowley sviluppò inoltre il concetto di entità soprannaturali che il mago manifesta durante gli atti magici: egli incanala la forza spirituale, traendola da sé stesso o dall’esterno, in un atto che venne denominato god form (forma divina), e che divenne pratica comune in molte forme di magia successiva: di fatto egli affermava che gli spiriti e gli dèi delle antiche religioni non erano solo archetipi dell’anima dell’uomo, ma erano al tempo stesso entità reali, intelligenze sovrumane esterne all’uomo. Di fatto, con Crowley (e la nascita della sua filosofia magico-religiosa, denominata Thelema, dal greco thelema, volontà) abbiamo il distacco della magia cerimoniale dalla tradizione moderna e la nascita della sua forma contemporanea.

giovedì 10 novembre 2016

Storia della Magia 06 - La magia nel Rinascimento



L’ASTROLOGIA

Il sistema tolemaico, coi sette pianeti e lo Zodiaco.

Sviluppatasi sin dagli albori dell’umanità in Mesopotamia, l’astrologia, ovvero lo studio dei corpi celesti, si divide ancora oggi in tre branche funzionali: l’astrologia individuale o genetlialogia, per la quale dalla posizione degli astri al momento della nascita (o dell’anniversario della nascita) di una persona si desume come i corpi celesti influiscano sul suo carattere e sul suo destino (e ci si può regolare di conseguenza per matrimoni, carriera e altro); l’astrologia catarchica, che può essere usata per le “interrogazioni”, cioè per sapere, in base al momento stabilito per un viaggio, un matrimonio o una battaglia, quale sarà l’esito, ma può viceversa essere usata per sapere, riguardo un’azione, qual è il momento propizio per iniziarla; infine, l’astrologia mondana o universale, che prevede gli avvenimenti collettivi, sia in rapporto alle condizioni atmosferiche che alle comunità umane. La funzione degli astrologi nelle corti medievali e rinascimentali, dunque, sembra fosse di accertare il “quando”, piuttosto che il “cosa” o il “se”, e dunque essi avevano l’incarico di indicare il momento più propizio per gli atti importanti. Non solo: l’astrologia era anche utile in medicina (iatromatematica), poiché ogni parte del corpo era presieduta da un pianeta o da una costellazione, e dunque occorreva tenerne conto durante le operazioni (non a caso nelle università l’astrologia era una delle materie di studio). Tuttavia, esattamente come nella Roma imperiale, anche nel Medioevo predire la morte di un principe era una faccenda rischiosa, ai limiti del tradimento.
Il più grande astrologo del mondo antico fu Tolomeo (100-175), la cui opera, il Tetrabiblos, divenne il manuale di tutte le generazioni di astrologi delle epoche successive: in essa, basata ovviamente sul sistema geocentrico, l’autore parlò diffusamente di tutte le caratteristiche dei vari pianeti (Mercurio, Venere, Marte, Giove, Luna, Sole e Saturno), che si muovevano nel cielo a diverse velocità ma sostanzialmente allo stesso modo, e dello Zodiaco, le cui dodici case si muovevano con progressione regolare. Quale però fosse l’influenza che tutti questi corpi celesti esercitassero sulla vita umana fu sempre una questione controversa per gli astrologi post-tolemaici: di base, la potenza dell’influsso dipendeva in parte dalla posizione dell’astro in cielo, e conoscendone anche l’identità si poteva misurare l’intensità dell’influsso, mentre il carattere dell’influsso stesso era insito nell’astro, indipendentemente dalla sua posizione (la Luna presiede alla follia, Venere alla sensualità, e via dicendo). Muovendosi nel cielo, un pianeta passa successivamente per tutte le dodici case dello Zodiaco, dunque dalla prima dipende la personalità, dalla seconda la fortuna, eccetera: ciò vale soprattutto per gli oroscopi dei nascituri, in quanto il bambino appena uscito dal grembo materno sarebbe ancora tenero e malleabile, e dunque particolarmente sensibile all’influenza dei corpi celesti (il segno zodiacale principale dipende invece dalla posizione del Sole, in quanto esso passa da una casa all’altra ogni mese, sebbene in astrologia esso sia soltanto uno dei numerosi fattori da considerare nel fare una previsione).
Osteggiata sin dal principio da autori cristiani come Agostino di Ippona e Isidoro di Siviglia, i quali non ritenevano sensato che gli astri potessero influire sull’anima, nel Basso Medioevo e nel Rinascimento si ammetteva comunemente che gli astri influissero sul corpo umano e sul clima, e non c’erano obiezioni sull’applicazione dei principi astrologici in medicina o meteorologia. Se da un lato taluni membri del clero obiettavano che gli astri non potessero avere un’anima intelligente se non essendo angeli e demoni (e gli angeli non avrebbero potuto far nascere una persona ladra o assassina), gli astrologi ribattevano che il loro studio non era religioso, ma scientifico, e che le stelle non erano la causa, ma solo il segno degli eventi futuri (si potevano dunque prevedere tendenze generali, ma non singoli eventi casuali, e l’uomo poteva comunque vincere l’influsso astrale grazie al libero arbitrio). Ovviamente esistevano anche posizioni più estremiste, che vedevano nell’astrologia il sapere supremo per conoscere ogni cosa, ma erano minoritarie.
Nel Rinascimento diversi maghi e filosofi svilupparono i concetti dell’astrologia, rendendo di fatto quest’epoca la più significativa per la storia di questa pratica. Marsilio Ficino (1433-1499), ad esempio, rigettava l’astrologia divinatoria, ma ne riconosceva la funzione medica e magica, in quanto gli astri influenzavano la natura e il corpo dell’uomo, sebbene non la sua anima; Pico della Mirandola (1463-1494) era ancora più radicale, relegando l’influenza delle stelle al solo ambiente naturale, mentre Pietro Pomponazzi (1462-1524) affermava che ciò che gli astri producono con le loro influenze non è qualcosa di misterioso, ma semplicemente di non ancora noto all’uomo. In ogni caso l’astrologia si sviluppò enormemente grazie ai progressi dell’algebra e della trigonometria, e si pubblicarono delle tavole apposite per semplificarne i calcoli, come le Tabulae Directionum di Regiomontano del 1467, dando la possibilità anche alle classi inferiori di impararla. Sebbene la figura di astrologo più celebre fu Nostradamus (1503-1566), il vero riformatore fu Girolamo Cardano (1501-1576): da un lato, egli metteva in guardia le persone dagli astrologi incompetenti, che facevano predizioni troppo semplici dovute al fatto che non tenevano conto di tutti i fattori necessari, e dall’altro riteneva l’astrologia non una scienza matematica, ma ermeneutica, ovvero da sviluppare e migliorare soprattutto con l’esperienza e la verifica pratica; dettò inoltre le nove regole del buon astrologo, fra le quali il non fare predizioni semplicistiche, non fare l’oroscopo ai criminali, non nascondere eventuali sventure ai sovrani, e così via.
Fu soprattutto il pensiero razionale illuminista (e non l’eliocentrismo, che l’astrologia adottò senza problemi grazie al sistema ticonico) ad allontanare questa pratica dall’ambito degli studi accademici; cionondimeno, con la scoperta di nuovi corpi celesti (Urano nel 1781, Cerere nel 1801, Nettuno nel 1846, Plutone nel 1930 e Chirone nel 1977) e alla riscoperta dell’esoterismo nel XIX secolo, essa ha ripreso vigore, sebbene gli astrologi professionisti lamentino spesso la sua banalizzazione a causa degli oroscopi sulle riviste e in televisione, spesso effettuati per mezzo di generatori casuali e dunque senza alcuna validità.

LA MAGIA NATURALE

Un anello medievale cristiano con zaffiro inciso con scritte arabe.

Per magia naturale si intende in genere quella delle pietre preziose che, nota sin dall’Antichità, ebbe il suo culmine nelle corti principesche del Tardo Medioevo: essa si basa sul concetto che ogni gemma ha delle proprietà intrinseche che possono essere sfruttate (per fare qualche esempio, alcune proteggono dai veleni, altre donano la preveggenza, altre vengono usate contro determinate malattie, altre ancora aiutano nei furti). Questo accade perché la pietra ha un rapporto speciale col mondo naturale (e a volte con l’oltretomba), cosa che le conferisce doti particolari: il suo stretto contatto con la terra la rende strumento privilegiato di comunicazione con le potenze ultraterrene, fungendo così da intermediaria magica, richiamando forze spirituali o trasferendo altrove i mali (è per questo stesso concetto che, nel mondo classico, si facevano sacrifici e libagioni sugli altari consacrati a uno specifico dio). Non solo: Marsilio Ficino (1433-1499) sviluppò ulteriormente questa pratica, riprendendo i concetti della magia antica, e scrisse che collegando elementi che corrispondevano fra loro (piante, animali, suoni, simboli planetari e ovviamente gemme) posti sui talismani o in contesti naturali si poteva influenzare l’ambiente circostante e lo spirito umano, attingendo alle correnti energetiche che uniscono tutte le cose (una pratica, a conti fatti, molto simile alla teurgia tardoantica).
Questi poteri erano visti in genere come naturali, sebbene alcuni autori affacciassero l’ipotesi che fossero di derivazione demoniaca; va comunque notato che spesso e volentieri si confezionavano gioielli incidendo sulle gemme immagini sacre (come anche nel mondo antico) o brani del Vangelo, o si mettevano le gemme a contatto con le reliquie dei santi, per accrescerne il potere. A metà fra gioco e credenza reale, questa pratica non era esclusiva dell’aristocrazia delle corti, ma anche della borghesia e del clero; esistevano inoltre specifici libri che trattavano dei poteri delle gemme, chiamati lapidarii, i più celebri dei quali sono quelli di Marbodo di Rennes (1035-1123) e di Ildegarda di Bingen (1098-1179).

LA STREGONERIA

Il volo delle streghe e l'adorazione del Diavolo al sabba.

A differenza della negromanzia, spesso ad appannaggio delle classi colte, la stregoneria propriamente detta (quella dell’immaginario del sabba) era più legata alle classi inferiori, e aveva un carattere estremamente più sciamanico e, per così dire, istintivo. A partire dalla seconda metà del XIV secolo (1384) fino al XVIII (1799) tutta l’Europa (in Italia soprattutto le aree settentrionali) furono teatro di molti processi per stregoneria, in particolare nelle zone collinari e montane: la prima menzione sono i processi di due donne milanesi, che dicevano di essere andate al seguito di una tale Madonna Oriente (chiamata poi Signora del Gioco) assieme ad altri uomini, animali e spiriti di defunti, e di aver da lei imparato le arti della divinazione e delle erbe.
La stregoneria, stando alle testimonianze forniteci dai processi, funzionava più o meno secondo caratteristiche semplici e comuni a tutte le zone interessate: molto spesso una strega più anziana avvicinava quella che le sembrava adatta al noviziato, e le presentava un bel giovane straniero, che le prometteva grandi poteri se avesse deciso di divenire suo amante; la creatura in questione veniva identificata dagli inquisitori con un demone, ed è giusto dire che ogni congrega aveva più demoni che assistevano le streghe. Il comportamento di queste entità era lo stesso che in genere viene attribuito agli spiriti totemici nelle tradizioni sciamaniche: parlando del suo demone, una strega camuna disse che a volte lo vedeva nella carne, altre che le “sussurrava nel cuore”, rivelandole cose presenti e future. A differenza dei demoni evocati tramite i libri di negromanzia, poi, quelli della stregoneria avevano nomi umani (Martino, Angelino, Giuliano,…), e sempre in forma umana apparivano, e mai animale (se non, in specifici casi, per condurre le streghe al sabba sul loro dorso).
Le pratiche stregonesche era semplici: in determinate notti (in genere di giovedì) le streghe si ritrovavano in un luogo prestabilito e isolato, e si davano a eccessi di ogni tipo assieme ai loro demoni; gli atti di profanazione dell’eucarestia, il cannibalismo rituale e la presenza stessa del Diavolo dovrebbero essere aggiunte posteriori, dovute forse all’agire dell’Inquisizione, forse alla modifica dell’immaginario delle streghe stesse. Le streghe si recavano ai cosiddetti “sabba” (chiamato dalle processate “buon gioco”, “barilotto”, “sinagoga” e in molti altri modi a seconda della zona) a volte nella carne, altre nello spirito: il Malleus Maleficarum attesta che una strega, quando voleva volare al raduno, si stendeva sul letto e vi andava in spirito, dopo essersi cosparsa parti del corpo con uno strano unguento e volando fuori dalla cappa del camino, a volte cavalcando scope o animali, o trasformandosi in animale essa stessa (si trattava, con ogni probabilità, di una tecnica estatica simile a quella degli sciamani). Non sappiamo ovviamente i dettagli dei riti che si svolgevano in segreto, se non che prevedessero un banchetto e che avessero forse una componente sessuale; la maggior parte dei partecipanti erano donne, per quanto siano attestati anche stregoni uomini.
Le somiglianze rituali con lo sciamanesimo (e col seidhr in particolare) sono molto forti, e allo stesso modo lo sono gli effetti della magia delle streghe: per la maggior parte, le testimonianze parlano del loro agire tramite il tocco, col quale potevano far ammalare o uccidere, senza bisogno di pronunciare incantesimi; allo stesso modo potevano entrare nelle case passando da aperture minuscole, probabilmente anche rendendosi invisibili; era loro facoltà anche scatenare tempeste per devastare i raccolti: da qui nasce forse la leggende dei tempestari. 
Dalle descrizioni dei rituali e dalla teologia esplicata dalle streghe stesse, quello che viene chiamato Buon Gioco sembra essere una religione più che una mera pratica magica: se la negromanzia era volta a ottenere qualcosa, e il seidhr germanico era una tecnica a sé stante, la stregoneria si fondava su figure precise, aveva delle cerimonie fisse, richiedeva un’iniziazione che permetteva l’accesso a un gruppo coeso e che forniva un contatto costante col soprannaturale, non solo durante la pratica magica vera e propria. Va infatti notato che, in tutti questi processi, gli inquisiti rivelavano spesso che nel loro gruppo vi erano persone dei paesi limitrofi, segno che una congrega di streghe poteva essere geograficamente anche piuttosto estesa (al contrario dei negromanti, la cui pratica era per lo più solitaria). È probabile che la stregoneria altro non fosse che la forma più antica e di matrice pagana (poi demonizzata) della segnatura, che vedremo più oltre, e in effetti diverse pratiche delle streghe si ritrovano ancora oggi in questa forma di magia.