lunedì 25 luglio 2016

I rigidi mondi della religione greca



Potrebbe non sembrare, eppure è legale!

La riflessione successiva che mi viene da fare a quanto esposto precedentemente riguardo la trasccendanza nel mondo greco è la seguente: se è vero che l’uomo ha accesso unicamente al suo mondo (la terra), così come ogni altro essere vivente mortale (e qui si potrebbe anche intuire una certa “piccolezza e insignificanza” dell’essere umano rispetto all’Universo), è così anche per gli dèi, gli esseri superiori per eccellenza? Ovvero, le divinità possono transitare da un mondo all’altro (per esempio dal cielo alla terra, o dagli inferi al mare), oppure sono “costrette” all’interno del loro?
La risposta più sensata è a mio avviso questa: le divinità minori sono necessariamente costrette nel proprio mondo (ad esempio Pan sulla terra, Nereo nel mare, Elio in cielo,...), mentre quelle maggiori (gli Olimpici) possono transitare da un mondo all’altro, ma a patto di non poter esercitare la propria autorità. Il non rispettare queste norme implica spesso e volentieri una rigida punizione. Ovviamente mi riferisco qui alla concezione greca propria del mondo arcaico e di quello classico, non di età ellenistica.
Or bene, il primo mito che prenderei a sostegno di questa tesi è quello di Asteria; cito Apollodoro: “Tra le figlie di Ceo una, Asteria, per sfuggire alle brame di Zeus, si trasformò in quaglia e si gettò nel mare.” A quel punto si trasformerà nell’isola di Delfi, ma la domanda è: perché si getta in mare? O ancora meglio, perché Zeus non si trasforma in una creatura marina e la insegue? Penso che la risposta la possa dare questo passo poetico de La Notte di Apollo di Grytzko Mascioni: “La quaglia avvertì dentro un peso improvviso trascinarla in basso, un gelo la impietriva: cadde in verticale, a precipizio, tra fiumi di luce vertiginosa. Fatta di sasso, affondò nel mare, scomparve tra gli spruzzi, si perse nella profondità dei flutti, nella tenebra dell’abisso. Zeus, sospeso nel cielo, fattosi un rogo rutilante d’amore insoddisfatto, planò inutilmente a larghi giri sul pelo dell’onda. Ma già un altro pensiero di conquista gli medicava la piaga della beffa: se Asteria era sparita dove la sua giurisdizione finiva, c’era pur sempre Leto.”
Zeus è il re del cielo, ma non ha autorità nel mare, pur essendo il signore degli dèi: può esercitare la sua regalità sull’Olimpo, ma negli abissi pelagici è Poseidone che comanda. Accanto a questo fatto è interessante notare che, nell’arte figurativa, i Cronidi sono sempre rappresentati praticamente identici (cambia solo ciò che stringono in mano), e lo stesso dicasi per le loro consorti (Era, Anfitrite e Persefone). Questo è un principio di ordine e stabilità, esattamente come poteva esserlo fra le poleis greche arcaiche, governate da sovrani diversi che esercitavano autorità solo nelle loro città e sul contado.
Alle divinità minori uscire dal proprio mondo invece non è consentito (a meno che non abbiano il permesso di un Olimpico, o lo seguano nel suo corteo come i satiri con Dioniso): un’oceanina non può lasciare il mare, come una ninfa non può scendere negli inferi, e la trasgressione viene punita severamente. Un esempio lampante è quello di Fetonte, che riprendo citando l’Astronomia di Igino (è un mitografo romano di epoca augustea, quindi tardo, ma almeno lo esplica in poche righe): “Per Eratostene questa [stella] è detta Fetonte, dal nome del figlio di Sole. Al riguardo molti hanno scritto che cercò di guidare, senza esperienza, il carro del padre, incendiando la terra. Per la qual cosa Giove lo colpì con un fulmine; gettato nell’Eridano fu trasferito tra gli astri da Sole.” Il figlio di Elio, dunque, trasgredisce le regole e si avvicina alla terra, bruciandola; verrà quindi punito con la morte.
Qualche eccezione tuttavia esiste, e anche abbastanza arcaica: la più famosa è certamente quella presentata nell’Iliade, dove Tetide (una divinità marina) sale sull’Olimpo per pregare Zeus in favore del figlio Achille. Questa trasgressione è tuttavia consentita per due possibili motivi: 1) Tetide era stata allevata da Era, e dunque era praticamente “parte della famiglia”; 2) Tetide aveva liberato Briareo affinché difendesse Zeus e sventasse il tentativo d’usurpazione di Poseidone, Era e Atena.
Ad ogni modo agli Olimpici, come detto prima, è concesso di transitare da un mondo all’altro senza troppi problemi, a patto che ovviamente abbiano il permesso del sovrano; ciò a mio avviso si può ricondurre al fatto che si tratta di divinità regali, vale a dire congiunti e figli degli dèi dominatori (particolarmente Zeus). Ne abbiamo diversi esempi: Ermes è per eccellenza lo piscopompo, nell’Iliade Era si reca al cospetto delle divinità marine che l’avevano allevata, e persino in un vaso più tardo, del 330 a.C., vediamo un Dioniso sceso agli inferi dare la mano ad Ade. L’esempio più famoso è però quello che riguarda il dio appena citato.
Claudiano, un poeta del V secolo d.C. (e dunque molto tardo), dà una bellissima visione di quanto accadde durante il ratto di Core nel suo poema (incompleto) Il Rapimento di Proserpina: Ade, stanco della solitudine degli inferi, minaccia Zeus di scatenare una guerra liberando i Titani imprigionati nel suo dominio, e a quel punto il fratello, per evitare un possibile sconvolgimento dell’ordine cosmico, accetta di dargli in sposa sua figlia Core; il dio allora esce violentemente dal suo regno, appare a Enna e rapisce la fanciulla, che in quel momento stava raccogliendo fiori assieme ad altre dee. Atena e Artemide si oppongono ad Ade, che stava commettendo un’infrazione, minacciandolo con la lancia e le frecce; a quel punto “al colpo si libra la lancia e fronteggiandolo illumina l’oscuro cocchio; e l’avrebbe percosso [Ade], se Giove dall’alto etere non avesse vibrato il pacifico volo di una rossa saetta, riconoscendosi suocero. Tra nubi squarciate echeggia l’inno imeneo e le fiamme attestano il connubio. Deluse si ritraggono le dee. Piangendo depose l’arco la figlia di Latona e disse queste parole [a Core]: «Ricordati di noi, addio! La soggezione al Padre ci ha impedito il soccorso, né possiamo difenderti contro di lui! Siamo vinte, sì, da un decreto più forte!...” Insomma, Ade (che stranamente, pur essendo un Cronide, non è considerato un Olimpico, e dunque non può abbandonare il suo mondo, sul quale tuttavia esercita comunque piena regalità) aveva il permesso di entrare sulla terra ed esercitare autorità; a questo decreto nessuno può opporsi.
Un esempio di infrazione pura e semplice, invece, lo si ritrova in un altro poema tardo (sempre in relazione alla formazione di questa concezione), vale a dire l’Eneide di Virgilio. Ora, io non so se questo poema si rifà a dei miti greci oggi perduti, oppure se è totale invenzione dell’autore, ma in ogni caso subito nel libro I troviamo una scena assai interessante: per ostacolare lo sbarco dei Troiani, Era fa in modo che Eolo comandi ai venti di scatenare una tempesta, nonostante questo atto risulti un’infrazione nei confronti di Poseidone, che prontamente se ne accorge: “Frattanto Nettuno sentì, gravemente turbandosi, sconvolgersi il mare con grande fragore, sfrenata la tempesta, e rimescolate le acque dal fondo: ed in alto guardando, levò il placido capo dalla sommità delle onde. Vede la flotta di Enea dispersa per tutto il mare, e i Troiani oppressi dai flutti e dalla rovina del cielo, né rimasero oscuri al fratello gli inganni e le ire di Giunone. Chiama a sé Euro e Zefiro, e dice: «Vi prese tanta fiducia nella vostra discendenza? Osate sconvolgere, o venti, senza un mio cenno il cielo e la terra, e sollevare alti marosi? Voi, che io...! Ma prima plachiamo i flutti agitati. Poi mi pagherete il misfatto con ben altra pena. Affrettate la fuga, e dite così al vostro re: non toccò in sorte a lui il regno del mare e il terribile tridente, ma a me. Egli possiede immani rocce, vostra dimora, Euro; si glorii in questa reggia, Eolo, e governi nel chiuso carcere dei venti.» Disse, e più rapido della parola placa le tumide acque, fuga le nubi addensate e riporta il sole.” In questo passo notiamo praticamente una summa di quelle che erano le regole olimpiche sul dominio: un re (o una regina, come in questo caso) non ha il benché minimo diritto di governare alcunché nel territorio di un altro sovrano, e se è pur vero che il re leso non può vendicarsi su un suo pari, è parimenti corretto dire che coloro che hanno aiutato il trasgressore a compiere il misfatto (nel caso sopraccitato Eolo e i venti) verranno puniti. Esattamente come, nel mondo umano, un re che ha subito un attacco di lesa maestà non punisce il mandante (se questi è a sua volta un sovrano), ma i suoi sudditi traditori.
Penso che sorga spontanea un’altra domanda, a questo punto, ovvero: perché è così importante che un dio non possa controllare anche il dominio di altri dèi (sempre maggiori, ovviamente)? Se si guarda la citazione dell’Eneide, ci si accorge che Poseidone non interviene minimamente per aiutare i Troiani, ma perché si era creato caos all’interno del suo regno (la salvezza di Enea e dei suoi è solo il riflesso della ricostituzione del dominio del signore del mare).
La risposta che sorgerebbe spontanea è questa: perché, quando all’inizio di questa era Zeus e i suoi fratelli si spartirono l’Universo, crearono un ordine volto a mantenere in equilibrio ogni cosa. Inevitabilmente, se un solo tassello del mosaico venisse a mancare, tutto crollerebbe: è esattamente per questo motivo che Zeus fa in modo che non gli nascano figli destinati a spodestarlo (vedasi le profezie riguardo a Meti e Tetide). Però non tutto è controllabile: molti hanno tentato di spodestare gli dèi in toto (i Giganti e Tifone, ad esempio), e altrettanti hanno cercato di raggiungere il cielo senza permesso divino (come Bellerofonte e gli Aloadi). Non solo: gli stessi dèi, ci racconta Omero, avevano cercato di detronizzare Zeus più di una volta (Poseidone, Era e Atena, ad esempio, ma anche Poseidone assieme ad Apollo, che vennero costretti a servire il re troiano Laomedonte, e persino la sola Era quando, secondo una versione data dagli Inni Omerici del VII-VI secolo a.C., aveva generato da sé Tifone).
Quando pensiamo all’universo religioso degli antichi Greci, ci immaginiamo un insieme di mondi dove le divinità fanno quello che vogliono e quando vogliono, senza limite alcuno, ma a mio avviso è una visione errata e superficiale: gli dèi greci vivono costretti all’interno di un solo mondo, ingabbiati in una ferrea gerarchia, costretti a chiedere permessi e a inginocchiarsi ad altre divinità, e sanno che ogni loro azione, se fatta in maniera irrispettosa delle leggi che governano il cosmo, potrebbe portare tutto alla distruzione totale.

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