lunedì 25 luglio 2016

Elementi generali di Storia delle Religioni



Introduzione al corso di Storia delle Religioni durante le Settimane Aperte dell'Unitre di Saronno (maggio 2015).

CONCETTI E CULTI
1. La religione è un complesso più o meno coerente di pratiche (riti e osservanza di precetti) e di rappresentazioni (credenze) che riguardano i fini ultimi e le preoccupazioni estreme di una società di cui si fa garante una forza superiore all’essere umano. Questa definizione tocca due dimensioni: quella del significato (i valori esprimenti i fini ultimi e le preoccupazioni estreme della società) e del potere (l’idea che vi sia qualcuno o qualcosa che ha l’autorità incondizionata di sanzionare tali valori, molto spesso un dio che agisce tramite dei suoi rappresentanti).
2. La religione ha una funzione integrativa, in quanto ha il compito di spiegare l’importanza indiscutibile di quegli stessi valori; ma ha anche una funzione protettiva, in quanto difende la bontà e la verità dei valori ultimi di una società: tutto questo si concretizza in simboli, miti e riti. I simboli veicolano concetti, i miti sono i racconti che li organizzano in discorsi dotati di una propria coerenza, mentre i riti sono le azioni che mettono in scena, li rappresentano a coloro che eseguono il rito e a coloro che vi assistono.
3. Gli elementi della religione, secondo Anthony Wallace (*1923), sono i seguenti: 1) preghiera (modo culturalmente definito di rivolgersi all’Altrove); 2) musica (che può servire anche per la trance); 3) prova fisica (che va dal semplice digiuno all’assunzione di sostanze); 4) esortazione (presenza di individui che guidano i fedeli duranti gli atti di culto); 5) recitazione del codice (insieme di norme che regolano i rapporti fra i fedeli e l’Altrove); 6) mana (forza invisibile che può trasmettersi da un individuo a un altro); 7) tabu (proibizioni relative a esseri animati e inanimati); 8) convivio (condivisione di un pasto a scopo liturgico); 9) sacrificio (atto capace di sollecitare la benevolenza della potenza invocata e capace di rinsaldare il senso di comunione tra i fedeli); 10) congregazione (riunione di individui in occasioni speciali cultuali); 11) ispirazione (mutamento degli stati interiori dei soggetti coinvolti in una situazione religiosa); 12) simbolismo (determinate figure che significano i valori ultimi e intoccabili su cui una società fonda le proprie certezze morali: essi sono condivisi dagli appartenenti allo stesso culto i quali, per poter riconoscere il carattere sacro di un simbolo, devono essere stati addestrati allo scopo, di norma attraverso i riti).
4. Le prospettive con cui l’antropologia si avvicinò alla religione furono sostanzialmente due. La prima, quella intellettualista elaborata da Edward Tylor e sostenuta da James Frazer (1854-1941), si caratterizza per il fatto di esaminare la religione come frutto della riflessione umana sul mondo circostante; viceversa la seconda, detta sociologica ed elaborata da William Smith (1846-1894) e sostenuta da Emile Durkheim e Sigmund Freud, ritiene la religione un fattore socialmente coesivo, e i rituali sarebbero lo strumento attraverso cui gli individui riaffermano periodicamente la loro appartenenza alla comunità stessa, e grazie ai quali vengono indottrinati.
5. Wallace proponeva una divisione delle religioni in culti individuali, sciamanici, comunitari ed ecclesiastici. I culti individuali sono quelli praticati da un singolo individuo ma sempre all’interno di un codice religioso culturalmente e socialmente condiviso di rappresentazioni; i culti sciamanici sono tipici di società nelle quali il contatto con le potenze invisibili è assicurato anche dall’opera dello sciamano; i culti comunitari comprendono tutte quelle pratiche che prevedono la partecipazione di gruppi di individui organizzati sulla base dell’età, del sesso, della funzione, del rango e via dicendo, che si riuniscono per questo preciso scopo senza alcun aspetto e permanenza di continuità delle funzioni cultuali; i culti ecclesiastici sono quelli che prevedono l’esistenza di gruppi di individui specializzati nel culto.

RELIGIONI E IDENTITÀ NEL MONDO SECOLARIZZATO
1. Per secolarizzazione si intende un fenomeno che coincide con la presunta “ritrazione progressiva del sacro” dalla vita sociale e dalla sensibilità degli individui; sembra tuttavia che questo sia un processo tutt’altro che inarrestabile, anzi.
2. I movimenti religiosi si distinguono come segue: 1) culti di rivitalizzazione, quelli in cui un gruppo o una comunità dichiarano di puntare a un miglioramento delle proprie condizioni di vita, e nei quali sia i riti che le rappresentazioni hanno come fine quello di rivitalizzare il senso di identità del gruppo o della comunità; 2) culti millenaristici, che accentuano le rappresentazioni relative all’avvento di un’epoca di pace e felicità, avvento che può essere favorito, incoraggiato o predisposto mediante appropriate attività rituali e grazie a un particolare atteggiamento interiore da parte dei partecipanti; 3) culti nativistici, che fanno propria la protesta contro le condizioni di svantaggio sofferte dalle popolazioni native, e che mirano a riaffermare e far rinascere aspetti culturali come strumenti di rivendicazione della propria identità, in opposizione alla cultura del gruppo dominante; 4) culti messianici, a sfondo carismatico e che fanno riferimento a una forte personalità, di solito sorti dall’incontro fra culti locali e cristianesimo (di solito si fondano sull’attesa di un rivolgimento socio-politico radicale).
3. Secondo Raffaele Pettazzoni (1883-1959) la religione sarebbe una realtà culturale autonoma: essa non rientra nella vita ordinaria dell’uomo, ma in quella straordinaria, in cui è in gioco l’esistenza stessa; si tratterebbe dunque di due mondi opposti eppure simili, in quanto prodotti storici. Per Mircea Eliade (1907-1986), invece, la religione fa perno sulla dicotomia sacro/profano: per l’uomo, il piano del sacro sarebbe quello reale, e da qui deriverebbe la tendenza a sacralizzare il più possibile la propria vita; in quest’ambito, la cosiddetta “resistenza al sacro” (dovuta ad esempio all’impossibilità di abbracciarne completamente i precetti e all’importanza sempre maggiore data ai valori profani dalla società) risulta essere in crescita costante, costringendo l’uomo a scindersi fra la ripugnanza del sacro e l’impossibilità di rinunciarvi del tutto.

LA FUNZIONE RITUALE
1. Un rito è un complesso di azioni, parole e gesti la cui sequenza è prestabilita da una formula fissa, tramite cui vengono evocati dei simboli, i quali svelano il loro carattere sacro ai partecipanti. All’interno del rituale, di solito officiato da uomini “speciali”, si genera un principio di autorità che si impone nelle menti dei partecipanti; i riti inoltre suscitano emozioni che facilitano l’introiezione di rappresentazioni dell’ordine cosmico. Non è tuttavia necessario che un rituale sia religioso: ne esistono infatti anche di profani e di patriottici.
2. La distinzione dei rituali è la seguente: 1) riti di passaggio, che sanzionano pubblicamente il passaggio di un individuo o di un gruppo da una condizione sociale o spirituale a un’altra (sono divisi nelle fasi di separazione o preliminare, margine o liminare, e aggregazione o postliminare, attribuendo la massima importanza a quella centrale ove, secondo Turner, avviene la massima opposizione con la “realtà quotidiana”); 2) riti funerari, che contengono gesti, azioni e parole che richiamano i valori e i significati su cui la società in questione fonda l’ordine del mondo e di sé medesima, e il cui scopo è quello di “rendere ragionevole la morte”; 3) riti di iniziazione, che sanciscono il passaggio degli individui da una condizione sociale o spirituale a una diversa dalla precedente.

IL PENSIERO MAGICO
1. Per magia si intende un insieme di gesti, atti e formule verbali (a volte anche scritte) mediante cui si vuole influenzare il corso degli eventi o la natura delle cose. I primi antropologi interpretarono la magia come una specie di aberrazione intellettuale tipica dell’uomo primitivo dovuta a una mancanza di coerenza logica, oppure come una scienza imperfetta.
2. Frazer la suddivise in due tipologie: imitativa e simpatetica. La magia imitativa si risolveva nell’idea che, imitando la natura, la si sarebbe potuta influenzare; la magia simpatetica o contagiosa invece si fonderebbe sull’idea che due cose, per il fatto di essere state a contatto, conserverebbero, anche se allontanate, il potere di agire l’una sull’altra.
3. Per quanto concerne lo scopo d’esistenza della magia, Frazer riteneva che essa fosse il primo stadio del relazionarsi dell’uomo col mondo esterno, cui sarebbero seguite religione e scienza. Secondo Bronislaw Malinowski (1884-1942), invece, a differenza della religione (la quale deve fornire certezze di fronte ai grandi problemi della vita) e della scienza (presente in forma elementare presso i primitivi), la magia ha scopi eminentemente pratici e si tratta di un mezzo per rispondere a situazioni generatrici di ansia: essa infatti consiste in una serie di atti sostitutivi, un possesso primordiale che afferma il potere autonomo dell’uomo di creare dei fini desiderati, e che mette l’uomo in grado di compiere con fiducia i suoi compiti importanti, di mantenere il suo equilibrio e, insomma, di ritualizzare il suo ottimismo.
4. Secondo Ernesto De Martino (1908-1965), la presenza non è l’ansia di cui parla Malinowski, ma una condizione che l’essere umano non cessa di costruire per sottrarsi all’idea, angosciosa, di non-esserci: il pensiero magico è dunque un primo tentativo coerente di affermare la presenza umana nel mondo. Il mago è la figura centrale di questo drammatico tentativo di superare l’annientamento, tentativo che coincide con l’affermazione del mondo magico come spazio di pensiero e di azione in cui l’uomo realizza la propria volontà di esserci, sebbene questa presenza possa essere sempre rimessa in discussione dalla crisi individuale o collettiva (crisi della presenza).

IL PENSIERO MITICO
1. Il racconto mitico ignora lo spazio e il tempo, le azioni dei protagonisti non tengono conto dell’anteriorità e della successione temporale, e i fenomeni che nella realtà richiedono giorni, mesi o anni per compiersi nel mito impiegano un solo attimo. I personaggi del mito abitano o agiscono in luoghi impossibili da frequentare per la maggior parte o per la totalità degli esseri viventi. Nel mito tutti parlano con tutti, annullando le differenze tra regni, genere e specie, tra mondo sensibile e mondo invisibile, spesso antropomorfizzando la natura e viceversa. Il mito disegna insomma una situazione originaria come caratterizzata da una profonda unità degli esseri.
2. Benché esistano eccezioni, la creazione del mondo viene quasi sempre rappresentata come il risultato di un processo di successive separazioni e allontanamenti tra gli elementi costitutivi dell’unità originaria. A volte questa rottura viene attribuita al trickster, personaggio che incorpora caratteri opposti e contraddittori, comportamenti premorali e presociali (quindi preculturali), che plasma la realtà così come gli uomini la conoscono e la esperiscono.
3. Le funzioni del mito sono speculative, pedagogiche, sociologiche e classificatorie. Secondo Malinowski il mito funge da modello d’ordine atto a legittimare lo stato delle cose presenti; secondo Alfred Radcliffe-Brown (1881-1955) nel mito si rappresenta il mondo della vita animale in termini di relazioni sociali simili a quelle della società umana, e le coppie d’opposizioni (aquila-corvo, falco-cornacchia,...) esprimono l’applicazione di un determinato principio strutturale, consistente nella combinazione delle idee di contrario e di opponente.
4. A detta di Claude Lévi-Strauss (1908-2009) il mito è un’attività puramente speculativa, da analizzare in termini di strutture e mitemi. Esso è infatti scomponibile in unità minime (i mitemi, appunto), le quali rivestono un senso solo se poste accanto ad altre dello stesso tipo; il medesimo mitema prende sembianze diverse in culture diverse, ma ricorre in racconti mitici differenti, assumendo di volta in volta un significato diverso a seconda degli altri mitemi a cui si trova accostato. Il mito sarebbe dunque un ambito speculativo in cui il pensiero umano non soffre delle costrizioni della realtà materiale e sociale, essendo libero di pensare ciò che non può esistere realmente ma che può esistere invece nell’immaginazione; ma sarebbe anche chiamato a conciliare quegli aspetti contraddittori dell’esistenza umana e del mondo naturale che non possono essere mediati da alcuna forma di dialettica razionale, presentandosi quindi come mediatore simbolico.
5. Georges Dumézil (1898-1986) dimostrò come, tramite la mitologia, si possa risalire a identità socio-culturali comuni a tutti i popoli nati da un medesimo ceppo: egli ad esempio teorizzò la primitiva struttura sociale indoeuropea tramite l’analisi dei miti indiani, persiani, romani e germanici. Il mito non sarebbe dunque solo narrazione, ma anche memoria storica.

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